Ogni 5 giugno, mentre il calendario segna il compleanno di Massimo Cacciari, vale la pena fermarsi a riflettere su questo filosofo fuori dagli schemi, che parla di felicità con la leggerezza di chi sa bene che la vita è un po’ una farsa, ma proprio per questo va vissuta senza peli sulla lingua. Non aspettatevi ricette pronte o sorrisi smielati: Cacciari ci propone una visione della felicità che fa a pugni con l’idea convenzionale, e ci ricorda che spesso il sale della vita sta proprio nell’infelicità accettata.
Chi è Massimo Cacciari?
Prima di addentrarci nel suo pensiero sulla felicità, un piccolo ritratto. Massimo Cacciari è un filosofo, accademico e politico italiano noto per il suo stile unico: riflessioni profonde che sembrano a tratti dialoghi col barista sotto casa, pungenti e mai noiosi. Nato a Venezia, ha saputo mischiare filosofia, politica e cultura in un cocktail che ti lascia sempre con qualcosa da pensare o almeno da ridere sotto i baffi. È uno di quelli che non si accontenta delle risposte semplici, e per questo piace tanto a chi non ama il pensiero confezionato.
La felicità secondo Cacciari: un affare complicato
Per Cacciari, la felicità non è quel pacchetto regalo scintillante che tutti vogliono comprare. No, è piuttosto qualcosa di sfuggente, spesso nascosto dietro la sofferenza e la ribellione. Lo ha spiegato in diverse occasioni, sia nei suoi scritti che nelle interviste, dove racconta che la vera felicità è una questione da “non conformisti”. È quella che provano “coloro che non s’adeguano”, quelli che non stanno tranquilli a farsi andare bene il mondo così com’è.
“Coloro che non s’adeguano sono il sale della terra…”
Questa frase è diventata quasi un mantra. Per Cacciari, chi si rifiuta di vivere nell’assuefazione, chi si mette continuamente in discussione e non accetta le cose per come sono, è davvero il sale della terra. Certo, lo dice con la consapevolezza che queste persone spesso si condannano all’infelicità, perché sfidare l’ordine costituito non è una passeggiata nel parco. Ma è proprio questa ribellione a colorare la vita, a darle significato e, paradossalmente, a regalarci la felicità più autentica.
Perché ci piace tanto?
Forse perché Cacciari ci ricorda che la felicità non è un obbligo e che non è roba da spot pubblicitari. Ci dà il permesso di essere imperfetti, di dubitare, di sentire un po’ di quella sana inquietudine che tiene viva la mente e il cuore. E soprattutto ci fa sorridere, perché sa che a volte prendere sul serio troppo la felicità è la ricetta migliore per restare infelici.
Il 5 giugno è dunque un’occasione per brindare a un pensatore che ha fatto della filosofia un gioco serio, ma non serioso. A Massimo Cacciari, che ci insegna che il vero sale della vita è l’inafferrabile felicità di chi non si piega. E che, forse, la felicità migliore è proprio quella che ci costringe a essere un po’ infelici. Ma che, alla fine, vale la pena di inseguire.
10 frasi di Massimo Cacciari sulla felicità
- “La felicità è un’idea comune. Tendiamo alla felicità. La rivoluzione non esiste più e quindi forse anche la felicità rischia di venire meno perché diventa irrealizzabile.”
- “La felicità è di tutti o di nessuno.”
- “L’unica felicità a cui possiamo aspirare in questo mondo è una forma di benessere, di stare bene, eudaimonia, e questa non è perseguibile se non in comunità con altri.”
- “Macaria, direbbero i greci, che veramente la felicità è una condizione divina o quasi divina.”
- “La nostra vita è un sommo bene soltanto quando è pensare e agire per un fine che comprende in sé e trascende, a un tempo, la nostra individualità.”
- “Coloro che non s’adeguano sono il sale della terra, sono il colore della vita, condannano se stessi all’infelicità, ma sono la nostra felicità.”
- “Per gli uomini il riso della felicità è andato perduto ed è rimasto soltanto alle donne e ai bambini.”
- “La felicità non è uno stato, ma un cammino, un processo continuo di ricerca e di scoperta.”
- “La felicità è un’illusione necessaria, un’idea regolativa che guida le nostre azioni.”
- “Non esiste felicità senza la consapevolezza del dolore e della sofferenza.”
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