Se oggi, 3 giugno, ti senti schiacciato da scadenze, doveri, richieste assurde e un’ansia che ti sveglia prima della sveglia… tranquillo: è solo Kafka che ti saluta dal 1924. Sono passati più di 100 anni dalla sua morte, ma Franz Kafka è ancora qui, nei corridoi grigi degli uffici pubblici, nei sogni in cui sei nudo a un esame e nei moduli da compilare per chiedere il permesso di vivere. Scrittore geniale, impiegato riluttante, figlio in colpa, fidanzato fuggitivo e profeta del disagio moderno, Kafka ha trasformato la sua complicata relazione con la vita in una letteratura che ancora oggi ci fa sentire meno soli… e più confusi.

Kafka: l’uomo che viveva con la vita sotto osservazione
Per Kafka, vivere era un problema. Non nel senso adolescenziale del “la vita fa schifo”, ma proprio a livello strutturale. Ogni gesto quotidiano era un peso, ogni scelta un tribunale. Soffriva d’insonnia, di tubercolosi, di sensi di colpa cronici e di una spiccata allergia all’esistenza sociale. A 9 anni già scriveva lettere struggenti, a 30 era convinto di non valere nulla e a 40… era morto.
Eppure, in mezzo a tutto questo dolore sottile e costante, ha scritto pagine indimenticabili. Per lui la vita era una trappola piena di pareti trasparenti, dove anche respirare sembrava un reato. Ma ha scelto di raccontarla, di analizzarla, di metterla sotto la lente come un entomologo fa con un insetto (che poi, guarda caso, è proprio come comincia La metamorfosi…).
Scrivere per sopravvivere: quando la penna è più forte del certificato medico
Kafka scriveva di notte, quando finalmente smetteva di lavorare come impiegato all’Istituto delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (sì, davvero). Di giorno osservava la macchina burocratica; di notte la trasformava in incubo grottesco.
Nei suoi romanzi (Il processo, Il castello, America) la vita è sempre qualcosa che sfugge, che schiaccia, che non si capisce mai davvero. Il protagonista non ha mai il controllo, non sa mai cosa ha fatto di male, non sa nemmeno se può davvero essere felice. Un po’ come noi quando apriamo una lettera dell’Agenzia delle Entrate.
Eppure, c’è un’ironia kafkiana, una leggerezza sottile nella sua disperazione. Kafka è tragico, sì, ma anche comico nel suo modo assurdo di mostrare il mondo: un posto dove ti svegli scarafaggio e nessuno ti chiede come stai.
“La vita è bellissima, ma non per me”: quando anche respirare pesa
Kafka non si fidava della vita. La osservava da lontano, come si guarda una piscina ghiacciata in pieno inverno: ti attira, ma non ci entri. Aveva relazioni sentimentali complesse, che puntualmente sabotava con lettere infinite e dubbi su ogni virgola. Con il padre aveva un rapporto che oggi si definirebbe “da sedute di terapia a vita”. Non a caso, Lettera al padre è uno dei testi più spietati mai scritti su un genitore. Più che un’accusa, è un’autopsia affettiva.
La sua vita reale era tutta in salita. Ma quella interiore, quella che scorreva mentre scriveva, era vastissima. Lì Kafka era libero, anche se circondato dai suoi mostri.
Kafka oggi: santo patrono dei complicati (e dei procrastinatori)
Oggi Kafka è un aggettivo. “Kafkiano” vuol dire assurdo, opprimente, inspiegabile. Un termine che usiamo per descrivere una fila all’INPS, una riunione con otto manager e zero decisioni, un call center che ti mette in attesa per dirti che il servizio è momentaneamente non disponibile.
Ma Kafka è anche quello che ci mostra che si può fare arte con l’angoscia, bellezza con il disagio, profondità con la paura. Che anche se non capiamo la vita, possiamo comunque raccontarla. Magari con uno stile che fa tremare i polsi, ma ci fa anche sorridere amaro.
Un brindisi a Franz
Nel ricordare Franz Kafka il 3 giugno, facciamolo con affetto ma anche con una certa consapevolezza: non era un tipo da celebrazioni. Se fosse vivo, probabilmente si nasconderebbe sotto il tavolo a disagio. Ma noi possiamo comunque ringraziarlo. Per aver dato un nome all’inquietudine, una voce al silenzio e dignità a tutti quelli che ogni tanto si sentono scarafaggi nel proprio letto.
E allora grazie, Franz. Per averci insegnato che, se la vita è assurda, almeno possiamo scriverci sopra qualcosa di bellissimo.
“La vita consiste nel cercare di scavalcare un muro senza sapere cosa c’è dietro.”
20 frasi di Franz Kafka sulla vita
- “La vita consiste nel desiderio di vivere.”
- “Un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.”
- “Non disperare, neppure per il fatto che non disperi.”
- “Esiste un punto d’arrivo, ma nessuna via; ciò che chiamiamo via è l’esitazione.”
- “Ogni cosa che si ama è il centro di un paradiso.”
- “Chi conserva la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio.”
- “Nel combattere contro il mondo, bisogna aver cura che il mondo non ci distrugga interiormente.”
- “Tu sei il compito. Nessun discepolo.”
- “Tutto ciò che non è letteratura mi annoia e lo odio, perché mi distrae, anche se solo superficialmente, dal mio vero compito.”
- “La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chi mantiene la capacità di vedere la bellezza non invecchia mai.”
- “Ogni rivoluzione evapora e lascia dietro solo la melma di una nuova burocrazia.”
- “Il male conosce il bene, ma il bene non conosce il male.”
- “Sii paziente: aspetta finché il fango si posi e l’acqua diventi limpida.”
- “Non devi lasciare la casa. Resta seduto al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare nemmeno, aspetta. Non aspettare nemmeno, resta completamente immobile e solo. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non può fare a meno, estasiato, si contorcerà davanti a te.”
- “Scrivere significa aprire una ferita.”
- “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato.”
- “L’angoscia è l’impedimento della vita e, allo stesso tempo, parte essenziale di essa.”
- “Ci sono due peccati capitali, dal quale derivano tutti gli altri: impazienza e indolenza.”
- “Ci sono infiniti modi per scendere, ma solo uno per risalire.”
- “Il significato della vita è che essa finisce.”
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