Quando parliamo di Massimo Recalcati, non stiamo parlando solo di un professore universitario o di uno che scrive libri difficili da leggere sotto l’ombrellone. Parliamo di un uomo che ha portato la psicoanalisi in prima serata e che riesce a parlare di Freud come se fosse il vicino di casa che incontri al bar. Uno che riflette, scrive e insegna, ma soprattutto uno che si mette in gioco in prima persona. E tra i tanti temi che affronta con passione – l’amore, la genitorialità, il desiderio, Dio, la scuola, l’assenza – c’è anche una parola che oggi sembra quasi fuori moda: la speranza. Ma non quella finta, zuccherosa, da Baci Perugina. La speranza vera. Quella che resiste quando tutto sembra crollare.
Recalcati, l’uomo oltre lo psicoanalista
Massimo Recalcati non è solo un teorico del divano. È un uomo che ha attraversato le sue ferite, le ha guardate in faccia e ci ha costruito sopra una carriera. Milanese, classe 1959, ex studente ribelle, è diventato uno degli psicoanalisti più seguiti in Italia. La sua voce pacata e profonda è diventata familiare grazie a libri, interviste e trasmissioni televisive in cui riesce a parlare di Lacan e Pasolini senza perdere il pubblico dopo tre minuti.
Ma Recalcati non è un intellettuale da salotto. Si espone, si mette in gioco. Lo fa quando parla del dolore, della fede, della perdita. E lo fa, soprattutto, quando parla della speranza. Che, come dice lui, “non ha niente a che vedere con l’ottimismo”.
Speranza: non c’entra con l’ottimismo, c’entra con il senso
Quante volte abbiamo sentito frasi tipo: “Sii ottimista! Vedrai che andrà tutto bene!”. Recalcati, se le sente, probabilmente scuote la testa con un mezzo sorriso. Perché la speranza, per lui, non è la convinzione che le cose andranno bene. È la certezza che hanno un senso, anche quando vanno male.
Nel suo libro La luce delle stelle morte (Einaudi, 2021), Recalcati riflette proprio su questo: viviamo in un tempo in cui la speranza è vista come una debolezza, quasi un’illusione per anime ingenue. Ma lui ribalta tutto: la speranza è la forza di chi non si arrende all’assurdo, di chi cerca senso anche nel dolore. Non è dire “andrà tutto bene”, ma chiedersi “perché anche questo dolore, anche questo fallimento, possono insegnarmi qualcosa?”.
In un’intervista ha detto:
“La speranza è credere che il senso sia più forte dell’assurdo.”
E qui, chi pensa che la speranza sia solo roba da boy scout può anche uscire dalla stanza.
Sperare non è negare il dolore
Recalcati non ci illude: sperare non è chiudere gli occhi davanti al dolore, è tenere gli occhi aperti nonostante il dolore. È una sfida. Un atto di fede nel futuro che non ha bisogno di garanzie. E, soprattutto, non ha bisogno che le cose vadano bene per forza. Sperare è un gesto rivoluzionario, soprattutto oggi, in un’epoca cinica e disillusa dove fa più figo dire “non mi aspetto più nulla da nessuno”.
Ne L’ora di lezione (Einaudi, 2014), parlando della scuola, Recalcati fa un esempio perfetto: l’insegnante che crede in un ragazzo “irrecuperabile” è l’immagine vivente della speranza. Non perché pensa che quel ragazzo diventerà un genio, ma perché vede in lui un valore, un significato, un destino. Anche se tutto lo smentisce.
La speranza vissuta: Recalcati ci mette la faccia
Non è un caso se Recalcati parla spesso anche di fede, pur dichiarandosi “un laico che prega”. C’è qualcosa di profondamente spirituale nella sua idea di speranza. Non è un concetto teorico, è qualcosa che vive. Lo si percepisce nei suoi scritti, nei suoi racconti autobiografici, nella sua voce quando legge poesie alla radio.
E allora ci rendiamo conto che per lui la speranza non è una categoria psicologica o religiosa. È un atto umano. Troppo umano. Come l’amore, il perdono, il lutto. È il coraggio di continuare, anche senza prove. È dire “sì” alla vita anche quando vorresti urlare “no”.
Teniamocela stretta, questa speranza “dura”
Recalcati ci offre un’idea di speranza che è tutto fuorché sdolcinata. Una speranza che ha le ossa rotte, ma cammina lo stesso. Una speranza che sa che le cose possono anche andare male, ma che non è disposta a vivere come se non avessero senso.
In un’epoca in cui tutti vogliono certezze e risposte immediate, Recalcati ci dice una cosa rivoluzionaria: non è importante sapere che tutto andrà bene. È importante credere che, anche se non va bene, la nostra storia vale comunque la pena di essere vissuta.
E allora, come direbbe lui, teniamoci stretti questa speranza dura, ostinata, testarda. Non perché siamo ingenui. Ma perché siamo vivi.
Frasi di Massimo Recalcati sulla speranza
- “La vita è un percorso che passa attraverso il dolore, ma che può aprire alla speranza.”
- “La vita è sempre un’apertura al futuro, anche quando tutto sembra perduto.”
- “Nella vita, il vero coraggio è accogliere la propria vulnerabilità.”
- “La vita è un rischio, e solo il rischio di vivere la rende degna di essere vissuta.”
- “La vita è un percorso che passa attraverso il dolore, ma che può aprire alla speranza.”
- “La vita trova senso nella parola, nell’ascolto e nella capacità di dire ‘io’.”
- “La vita è scandita da prove che ci invitano a una nuova forma di esistenza.”
- “La vita è un dono che va accolto con gratitudine, nonostante la sua fragilità.”
- “La speranza non ha niente a che vedere con l’ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che qualcosa ha un senso.”
- “Dunque non c’è più futuro, non c’è più speranza. La reazione opposta rispetto alla melanconia è la mania.”
- “Siamo fatti per vivere. I lutti ci gettano nel vuoto, ma in quella disperazione c’è la luce del passato.”
- “La speranza non deve diventare illusione.”
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