Oscar Wilde. Nome e cognome bastano per evocare pizzi vittoriani, frasi taglienti come rasoi e un’eleganza che sfiora l’insolenza. Ma oltre il dramma teatrale e il bonsai di battute memorabili, c’era un uomo capace di toccare corde profonde. Una su tutte: la solitudine. Non la solitudine eroica degli eremiti o quella patetica dei cuori spezzati, ma quella più subdola: la solitudine che ti assale anche quando sei circondato da gente. Wilde l’ha vissuta, l’ha capita, l’ha scritta. E noi oggi ci specchiamo ancora nelle sue parole.

Wilde: l’uomo dietro l’aforisma
Oscar Wilde nasce nel 1854 a Dublino con una lingua tagliente e un gusto spiccato per l’ironia. Colto, eccentrico, geniale, conquista Londra a suon di battute e opere teatrali, ma anche con un certo talento per ficcarsi nei guai. Amava provocare, brillare, vestire bene e scrivere meglio.
Dietro l’uomo da salotto però, c’era un’anima malinconica, un’intelligenza che troppo spesso vedeva più in là degli altri e, come spesso accade, chi vede troppo resta solo.
Solitudine: una folla di silenzi
Wilde ha scritto molte cose sulla solitudine, ma una frase spicca su tutte:
“Si può essere felici da soli, ma si è spesso soli tra la gente.”
Colpisce perché è vera. Quante volte ci sentiamo come pesci fuor d’acqua in mezzo a una festa, circondati da volti che ridono ma incapaci di trovare uno sguardo che ci capisca?
Wilde sapeva bene che la solitudine peggiore non è quella della stanza vuota, ma quella del cuore incompreso. Era un outsider travestito da uomo di mondo, un artista in una società che capiva il suo talento ma non accettava il suo amore.
Dal salotto al carcere: la solitudine vera
La solitudine, Wilde non l’ha solo teorizzata. L’ha vissuta sulla propria pelle.
Nel 1895 finisce in carcere per “atti osceni”, ovvero per la sua relazione con Lord Alfred Douglas.
La società perbenista che lo applaudiva a teatro gli volta le spalle. Da dandy acclamato a reietto. Due anni a Reading Gaol, a pane e umiliazioni.
È lì che nasce De Profundis, una lunga lettera al suo ex amante, ma anche un grido d’anima. È l’eco di un uomo che ha toccato il fondo e lo ha trasformato in letteratura.
Essere soli tra la gente: un male moderno con origini vittoriane
Oggi lo chiamiamo “sentirsi disconnessi”, “alienati”, “in crisi esistenziale”. Wilde non aveva bisogno di questi paroloni. Gli bastava scrivere:
“Un’anima che non ha mai conosciuto la solitudine non sa nulla della libertà, dell’amore o della bellezza.”
La sua solitudine non era solo dolore, era anche spazio creativo, rifugio, specchio. Non era una condizione da curare, ma da comprendere.
Per lui, sentirsi soli in mezzo alla folla significava non trovare autenticità. Wilde cercava sguardi veri, pensieri profondi, non convenevoli e risatine da tè delle cinque.
Wilde, un compagno per i solitari
Oscar Wilde ci ha insegnato che essere soli non è una colpa, né un fallimento. È spesso il prezzo da pagare per essere autentici.
In un mondo che corre, che chiacchiera e che applaude senza ascoltare, Wilde ci ricorda che la vera compagnia non è una sala piena di gente, ma una mente che ti capisce. E magari, per iniziare, basta leggere una sua frase e dire: “Accidenti, questo ha capito come mi sento”.
Frasi sulla solitudine di Oscar Wilde
- “Un noioso è qualcuno che ti priva della solitudine senza offrirti compagnia.”
- “La sublimità di un’anima non è contagiosa. Pensieri elevati, elevate emozioni per la loro stessa natura si trovano in solitudine.”
- “Gli altri sono veramente terribili. La sola società accettabile è quella di noi stessi.”
- “La sola compagnia possibile è la propria.”
- “La solitudine è la condizione essenziale della libertà.”
- “Una bella donna che rischia tutto per una passione folle… il ragazzo lasciato alla solitudine e alla tirannia di un uomo vecchio e senza amore.”
- “Anche coperto di fango ti loderò, dai più profondi abissi ti griderò. Nella mia solitudine sarai con me.”
- “La solitudine non è mai con voi, ma dentro di voi.”
- “Il vero artista è un solitario.”
- “La solitudine è il prezzo della grandezza.”
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