Paolo Crepet non ha bisogno di presentazioni: psichiatra, sociologo, scrittore, conferenziere e, soprattutto, voce che non ha paura di dire le cose come stanno. In televisione, nei suoi libri o nei teatri affollati dove porta i suoi spettacoli-dialogo, Crepet ha un talento raro: dire ad alta voce quello che molti pensano, ma non osano pronunciare. Uno dei suoi bersagli preferiti? L’autocensura, cioè quella strana malattia che ci fa chiudere la bocca proprio quando vorremmo spalancarla.
Chi è Paolo Crepet
Paolo Crepet è uno che divide: o lo ami o lo critichi. Non si nasconde dietro frasi smussate o giri di parole. Il suo stile è diretto, ironico, a volte spietato, ma sempre capace di smuovere coscienze. Quando parla di autocensura, non lo fa con il tono di chi dà la lezioncina, ma con la rabbia e l’urgenza di chi sa che tacere troppo a lungo è come vivere con il freno a mano tirato.
Che cos’è per Crepet l’autocensura
Secondo Crepet, l’autocensura è la più subdola delle prigioni. Non ha sbarre visibili, ma ti blocca comunque:
“La peggiore forma di censura non è quella degli altri, ma è quella che ti fai: le parole che non ti permetti di dire, le scelte che non ti permetti di fare.”
Non si tratta solo di evitare discorsi scomodi: è un modo per ridurre se stessi al silenzio. Come dice Crepet, “l’autocensura provoca una sorta di induzione al nulla, al non pensiero, alla non libertà”. In pratica, se taci per troppo tempo, finisci per non avere più nulla da dire.
Ne ha parlato nei suoi libri e nei suoi incontri pubblici, in cui Crepet torna spesso su questo tema. Non parla di censura con la C maiuscola – quella dei governi, delle religioni o dei regimi – ma della censura silenziosa che nasce dentro di noi. È la più difficile da combattere, perché è culturale, invisibile, interiorizzata:
“Sulle censure dei Governi possiamo sempre sperare che arrivi qualcuno a mandarli a quel paese; sull’autocensura, no. Quella ce la cuciamo addosso noi stessi.”
Quando l’autocensura diventa un virus collettivo
Crepet mette in guardia anche dal conformismo: arriva un momento in cui tutti smettono di indignarsi, tacciono e si adeguano. “Eh, beh, ma tanto il mondo va così”, è la frase che, secondo lui, segna l’inizio della fine. E ha ragione: se nessuno alza la voce, la società intera si trasforma in un gigantesco salotto dove tutti sorridono, ma nessuno dice più quello che pensa.
Un consiglio che vale doppio
La sua frase più famosa sull’autocensura può essere utile non solo per noi stessi, ma anche per chi amiamo. Se impariamo a non censurarci, diamo coraggio anche agli altri a fare lo stesso. Vuoi dire qualcosa al tuo partner, a un amico, a tua madre? Fallo, perché se non lo fai, ti porti dietro un segreto che diventa un muro. Liberarsi dall’autocensura significa smettere di giocare a nascondino con i sentimenti.
È un invito ad abbattere quei silenzi pesanti come macigni che impediscono di essere davvero noi stessi. Alla fine, la libertà non è dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire, ma quello che davvero abbiamo dentro.
Perché le sue parole ci pungono (e ci servono)
Il bello – e il fastidio – di Crepet è proprio questo: ti mette davanti allo specchio e ti chiede se sei davvero la persona che pensi di essere o se sei solo la versione censurata di te stesso. È un messaggio scomodo, certo, ma anche liberatorio. Perché la verità è che l’unica gabbia davvero insopportabile è quella che ci costruiamo da soli.
Frasi di Paolo Crepet sull’autocensura
- “La peggiore forma di censura non è quella degli altri, ma è quella che ti fai: le parole che non ti permetti di dire, le scelte che non ti permetti di fare.”
- “L’autocensura provoca una sorta di induzione al nulla, al non pensiero, alla non libertà.”
- “L’autocensura è molto difficile da prevenire, perché è individuale. Mentre sulle censure dei Governi, delle politiche o della religione, possiamo sempre sperare che ci sia un Savonarola che mandi tutto a quel paese, sulla forma di censura interna, no, perché è un prodotto culturale.”
- “Arriva un momento in cui tutta la gente si adegua e fa la stessa cosa, cioè tace, smette di indignarsi, guarda da un’altra parte oppure dice ‘eh, beh, ma tanto il mondo va così’. Questo è l’inizio della fine.”
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