Paolo Ruffini, per molti, è “quello che fa ridere”. Il presentatore, l’attore, il comico toscano che riesce a sdrammatizzare anche il caos della vita. Ma dietro il personaggio c’è un uomo che del dolore ha fatto una lente, un allenatore personale, qualche volta anche un maestro severo. E proprio per questo, quando parla di sofferenza, lo fa con una chiarezza che spiazza, senza la retorica zuccherosa di chi vuole addolcire ciò che addolcibile non è. Tra le sue frasi più note, ce n’è una che da sola potrebbe fare da terapia breve:
“Se il dolore ti fa diventare cattivo vuol dire che lo hai sprecato.”
È una di quelle dichiarazioni che non puoi ignorare: o ti infastidisce o ti illumina. Ma sicuramente ti smuove.

Paolo Ruffini, l’uomo dietro il sorriso
Chi conosce Paolo Ruffini già lo sa: dietro l’ironia c’è una testa che pensa, che osserva, che inciampa come tutti e poi riparte. Il dolore non lo ha mai nascosto, anzi: spesso lo ha portato in scena, lo ha raccontato nei suoi spettacoli, nelle interviste, nei libri, quasi come se volesse dirci che soffrire non è una vergogna, ma una parte inevitabile del pacchetto “vita”.
Per Ruffini il dolore non è un nemico da schiacciare né una medaglia da esibire. È un attrezzo. A volte pesante, a volte goffo, ma sempre utile per capire dove stiamo andando. Lo dice chiaramente anche quando afferma:
“Quando cercano di raddrizzarti la schiena devi deragliare e quel deragliamento ti porta a una sofferenza, e quella sofferenza ti porta a una consapevolezza.”
In altre parole: la vita non è una linea dritta. E meno male.
Quando il dolore diventa una cantina e quando una spinta
Tra le sue riflessioni più pungenti ce n’è un’altra che andrebbe stampata e attaccata sulla porta di casa:
“Bloccarsi per paura dei cambiamenti è trascorrere la vita in cantina.”
È un’immagine perfetta, perché il dolore può fare proprio questo: chiuderci in un posto buio, comodo solo in apparenza, dove pensiamo di essere al sicuro ma in realtà stiamo solo perdendo aria, luce e possibilità.
Paolo Ruffini invece ribalta la prospettiva. Secondo lui soffrire ha un senso solo se ti apre, se spinge, se muove. E infatti aggiunge:
“Bisogna far sì che il dolore diventi propulsivo per qualcosa di buono.”
Non dice di far finta che non esista, né di sublimarlo in un arcobaleno consolatorio: dice di usarlo. Di trasformarlo. Di non sprecarlo.
“Se il dolore ti fa diventare cattivo vuol dire che lo hai sprecato”: perché ci riguarda più di quanto pensiamo
Questa frase, tra tutte, è quella che tocca un nervo scoperto. Perché tutti abbiamo conosciuto qualcuno che, ferito dalla vita, sceglie la via più semplice: restituire il dolore al mondo, raddoppiarlo, tirarlo addosso agli altri come un sasso.
Ecco, secondo Ruffini, quella è la vera occasione mancata. Non perché chi soffre debba diventare santo, ma perché la cattiveria è la scorciatoia che non porta da nessuna parte. Se soffri e diventi più empatico, più consapevole, più libero, hai fatto un miracolo. Se soffri e diventi tossico, hai preso il regalo e l’hai lasciato marcire.
Ed è proprio qui che questa frase diventa utile anche a te, per un motivo molto pratico: ti dà il permesso di allontanare senza sensi di colpa chi ti tratta male “perché sta passando un periodo difficile”. Il dolore non giustifica tutto. Non è un lasciapassare per calpestare gli altri. Paolo Ruffini, con la sua brutalità gentile, ci ricorda che se una persona usa la sofferenza come scusa per diventare cattiva, allora sta facendo un pessimo lavoro con sé stessa. E tu hai tutto il diritto di proteggerti.
Il dolore che salva, non quello che distrugge
Il messaggio di Paolo Ruffini è semplice e spietato: il dolore c’è, arriva, si piazza, ci smonta e ci rimonta. Ma non per farci diventare durezza. Non per trasformarci nella versione peggiore di noi. La sua è una filosofia molto umana: non glorifica la sofferenza, ma la accoglie; non la idealizza, ma la interpreta. E soprattutto, la restituisce al pubblico con una miscela di ironia e schiettezza che solo lui sa maneggiare.
Forse è anche per questo che le sue parole fanno effetto: perché non vengono da un guru seduto su una montagna, ma da un uomo che ha inciampato, risalito e poi ci ha fatto pure uno spettacolo.
Il dolore: cantina o trampolino
Nel mondo di Paolo Ruffini il dolore può essere una cantina o un trampolino, una discesa o una spinta. Dipende da come lo abitiamo. E la sua frase più celebre sul tema, “Se il dolore ti fa diventare cattivo vuol dire che lo hai sprecato,” è insieme un consiglio, una provocazione e un gesto di liberazione: trasformare quello che ci ferisce in qualcosa che ci apre, non che chiude gli altri fuori. Perché alla fine, la sofferenza non ci rende migliori o peggiori. Ci rende veri. Sta a noi decidere cosa farcene.
Frasi di Paolo Ruffini sul dolore
- “Se il dolore ti fa diventare cattivo vuol dire che lo hai sprecato.”
- “Bisogna far sì che il dolore diventi propulsivo per qualcosa di buono.”
- “Quando cercano di raddrizzarti la schiena devi deragliare e quel deragliamento di porta a una sofferenza, e quella sofferenza ti porta a una consapevolezza.”
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