Arthur Schopenhauer, filosofo tedesco dell’Ottocento, non era esattamente il tipo da sorridere allegramente alle feste. Ma quando parlava di uomo e di società, aveva una chiarezza che ancora oggi fa riflettere… e sorridere. Tra i suoi argomenti preferiti c’era l’invidia, quel piccolo veleno che fa parlare troppo e vivere male chi lo prova. Secondo lui, capire l’invidia può salvarci il cervello e anche il buonumore.

Chi era Schopenhauer e perché parlava di invidia
Schopenhauer era un tipo schietto, diretto e a volte tagliente come una lama. Non amava le ipocrisie, e l’invidia era uno dei vizi umani che più lo irritavano. Nei suoi scritti principali, come Parerga e Paralipomena (1851) e Il mondo come volontà e rappresentazione (1819), affrontava l’invidia non solo come sentimento personale, ma come fenomeno sociale: un vizio che rivela molto più chi lo prova che chi lo riceve.
Per lui, l’invidia è il segnale di una vita infelice: chi invidia non è felice con ciò che ha, e spesso cerca di abbattere chi ha qualcosa in più. Non è solo un problema morale, ma un indicatore chiaro di noia e insoddisfazione.
“L’invidia degli uomini mostra quanto essi siano infelici…”
Una delle sue frasi più famose sull’argomento dice:
“L’invidia degli uomini mostra quanto essi siano infelici; la loro costante attenzione a quello che fanno o debbano fare gli altri, mostra quanto essi si annoino.”
In pratica, Schopenhauer ci sta dicendo due cose:
- chi critica e invidia continuamente è profondamente infelice; la sua mente non ha altro a cui pensare;
- la fissazione sugli altri è un segnale che non ha nulla di interessante da fare nella propria vita.
Tradotto in termini moderni: se qualcuno passa la giornata a criticarti per ogni cosa, sorridi, fai un respiro e pensa: “Poverino, che vita noiosa deve avere”.
Come usare questa saggezza nella vita di tutti i giorni
Schopenhauer non dava istruzioni pratiche stile manuale di sopravvivenza, ma il suo pensiero è molto concreto: capire che l’invidia non riguarda noi, ma chi la prova, ci aiuta a non prenderla sul personale.
Ecco alcuni consigli “alla Schopenhauer”:
- non rispondere alle critiche inutili. La persona invidiosa sta solo proiettando la sua infelicità;
- sorridi e procedi. La tua vita è tua; chi critica non sta facendo altro che dimostrare quanto si annoi;
- ridi della situazione. L’umorismo è il miglior antidoto all’invidia altrui.
In sostanza: mandare al diavolo chi ci critica sempre non è cattiveria, è semplice filosofia pratica.
L’invidia non è un giudizio su di noi
Schopenhauer ci insegna che l’invidia è un riflesso dell’infelicità altrui e non un giudizio su di noi. Capire questo significa vivere più leggeri, ridere di chi ci vuole vedere cadere e concentrarsi su ciò che conta davvero: la nostra vita, i nostri progetti e, se possibile, un po’ di sano divertimento. Insomma, la filosofia del pessimismo tedesco può essere sorprendentemente ottimista… se impariamo a ignorare gli invidiosi con stile.
Frasi di Schopenhauer sull’invidia
- “L’invidia è il segno sicuro del difetto, dunque se è rivolta ai meriti altrui è il segno del difetto di meriti propri.”
- “Provare invidia è umano, assaporare la gioia per il danno altrui è diabolico.”
- “Nessuno è gran che da invidiare, innumerevoli sono da compiangere molto.”
- “L’invidia naturale nell’uomo: tuttavia essa è un vizio e al tempo stesso un’infelicità. Noi dobbiamo quindi considerarla come la nemica della nostra felicità, dobbiamo cercare di soffocarla come un demone maligno.”
- “L’invidia degli uomini mostra quanto essi siano infelici; la loro costante attenzione a quello che fanno o debbano fare gli altri, mostra quanto essi si annoino.”
- “La morte placa l’invidia del tutto; la vecchiaia già per metà.”
- “Chi ha meriti riconosce anche i meriti altrui, s’intende quelli genuini e reali. Ma colui a cui manchi ogni pregio e merito desidera che non ce ne siano affatto: vederli negli altri è come venir disteso sull’eculeo; la pallida, verde, gialla invidia gli rode il cuore: vorrebbe annientare e sradicare tutti coloro che sono personalmente privilegiati; e se invece li deve purtroppo lasciar vivere, ciò può essere solo alla condizione che essi nascondano i loro pregi, li neghino del tutto, anzi li abiurino… Questa è dunque la radice dei così frequenti panegirici in onore della modestia.”
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