Frasi di Stefano Simoncelli sulla solitudine, ecco perché la paura di restare da solo può essere la tua salvezza!

Il 20 maggio 2025 è morto Stefano Simoncelli. E già scriverlo così, in due righe secche, sembra quasi un’ingiustizia. Perché Simoncelli era di quelli che meritano una parola in più. O almeno una pausa. Era poeta, sì, ma anche uomo, insegnante, ex militante di sinistra, ex ragazzo di provincia, uno che si portava dietro la Romagna come un fazzoletto nel taschino: semplice, utile, mai banale. Chi lo conosceva davvero sa che non era solo un autore di versi, ma un osservatore malinconico del mondo, uno che scriveva per chi sta zitto. Per quelli che non alzano la voce. Per quelli che, come lui, avevano fatto della solitudine una compagna discreta e a volte persino una salvezza.

frasi di Stefano Simoncelli sulla solitudine

La solitudine come rifugio, non come condanna

Simoncelli non ha mai avuto paura della solitudine. Anzi, l’ha guardata negli occhi come si guarda una vecchia amica che ogni tanto ti tradisce, ma alla fine ti salva la vita. La solitudine, per lui, non era vuoto ma spazio. Non silenzio ma ascolto. Non isolamento, ma tregua.

In un’intervista del 2021 disse:

“In un mondo che ti vuole sempre connesso, la vera ribellione è restare soli e ascoltare i tuoi pensieri.”

Già, perché nella solitudine Simoncelli trovava parole che altrimenti non sarebbero mai nate. Quelle parole un po’ sgangherate, a volte spigolose, che facevano tremare le mani ma accarezzavano l’anima. Come nei suoi libri più intensi, da Sotto falso nome a La febbre degli altri, passando per Hotel degli invalidi e A beneficio degli assenti, titoli che, già da soli, sono poesie che sussurrano “lasciami stare, ma resta vicino”.

L’uomo dietro i versi: ironia, malinconia e una risata di traverso

Chi lo ha conosciuto racconta di un uomo ruvido, un po’ burbero a prima vista, ma con una risata che spuntava sempre fuori nel momento meno previsto. Non gli piacevano i palchi, gli eventi mondani, le letture impostate con la erre moscia e lo sguardo al soffitto. Preferiva i bar, le panchine, le scuole. Lì dove il dolore non ha bisogno di effetti speciali.

La sua poesia era fatta di carne, di vita vissuta, di inciampi e abbracci mancati. Era uno che parlava di morte ridendo, e della vita piangendo un po’ in silenzio. La solitudine, per lui, non era solo tema poetico, ma condizione esistenziale. Una forma di coerenza. Una postura dell’anima.

In una poesia scriveva:

“Sto bene con me stesso, ma siamo in due / a guardarci in silenzio / come due vecchi amici / che hanno litigato e poi si ritrovano.”

Ecco, quella era la sua solitudine: compagnia complicata, ma necessaria.

La solitudine come salvezza: perché?

Ma allora, perché Simoncelli pensava che la solitudine potesse salvarci?

Perché, in un mondo di chiacchiere, selfie, notifiche e “come stai?” detti senza aspettare la risposta, la solitudine ci obbliga a guardarci allo specchio. A farci domande vere. E a smettere di recitare. Lui scriveva per dire la verità anche quando faceva male. E spesso la verità – guarda caso – si scopre proprio quando si è soli.

Per Simoncelli, la solitudine era una forma di sincerità. Un luogo senza filtri. Uno spazio dove si può stare “nudi”. Dove si può scrivere senza mentire. Dove non si deve piacere per forza.

Era convinto che solo da lì, da quello stare soli con noi stessi, potesse nascere qualcosa di autentico. Un pensiero, una poesia, un’amicizia vera, magari persino un amore. Non quello da Instagram, ma quello da panchina e mani che tremano.

Cosa ci resta di lui

Ci resta una voce che parlava piano, ma arrivava lontano. Ci restano i suoi libri, le sue poesie, i suoi silenzi pieni di significato. Ci resta il suo modo gentile e testardo di stare al mondo. E ci resta una lezione che, oggi più che mai, vale la pena ricordare:
la solitudine non è il nemico. È il momento in cui possiamo davvero sentirci vivi.

E allora, caro Stefano, grazie. Per le parole. Per il silenzio. E per averci insegnato che restare soli, a volte, è il modo migliore per tornare a casa.

Frasi di Stefano Simoncelli sulla solitudine

  1. Non mi orizzonto mai nei mattini troppo luminosi e a occhi semichiusi mi trascino– A mia madre (2005)
  2. Allora perché rimango qui, custode di reliquie, l’ultima notte dell’anno, l’ultimo anno del millennio, a baciarla e accarezzarla come se là dentro, nella lana ...” – A mia madre (2005)
  3. Da dove venite? vorrei chiedere, ma sbanda la mia ombra sul marciapiede di tante partenze improvvise, il cuore si rattrappisce, manca l‘aria…– Da Terza copia del gelo (2012)
  4. Mi affaccio e vedo, sparse sulla neve, briciole di pane con tracce fresche di stivali da caccia. Nell’aria l’inconfondibile odore di mentine Saila e tabacco. Esco dalla struttura e mi arrendo.” – Da Terza copia del gelo (2012)
  5. Tra poco compirò sessantatre anni, ma se guardate bene là in fondo vedrete che ritorno di corsa con aspetto trasparente e sereno tra querce che mi si piegano addosso– Da Hotel degli introvabili (2014)
  6. Non ci sono più notti buone, ma una oscura strettoia
    con uno strapiombo su cui chiudo gli occhi, salto e sento che evaporo
    come fossi pioggia o rugiada
    .”
    – Da Sotto falso nome (peQuod 2022)
  7. Non posso dirti se finisce quassù, in questo capolinea sulle colline,
    la mia corsa, ma non vedo vie di fuga possibili o un posto
    sicuro dove andare a nascondermi
    .”
    – Da Sotto falso nome (peQuod 2022)

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