Chi si è preparato per la Maturità 2025, nella temutissima prima prova d’italiano si è imbattuto in un personaggio a dir poco aristocratico: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del celebre romanzo Il Gattopardo. Un nome che suona come un titolo nobiliare – e in effetti lo era – ma che dietro i salotti siciliani e le atmosfere decadenti nascondeva un’anima profondamente solitaria, malinconica e, diciamolo, anche un po’ snob. E proprio la solitudine, per lui, non era un problema da risolvere, ma un piacere da coltivare.

Chi era davvero Tomasi di Lampedusa?
Nato a Palermo nel 1896, Giuseppe Tomasi di Lampedusa non era uno scrittore di professione, ma un aristocratico appassionato di letteratura, che ha pubblicato un solo romanzo – Il Gattopardo – e pure postumo. Un romanzo che oggi è considerato un capolavoro assoluto della letteratura italiana, ma che in vita nessun editore voleva pubblicare. Evidentemente il principe aveva il dono della scrittura, ma non quello della tempistica editoriale.
Timido, riservato, amante della cultura, delle biblioteche, della solitudine e dei silenzi lunghi quanto un’estate siciliana, Tomasi viveva tra i fasti del passato e la noia del presente. Non amava il chiasso, né le folle. Preferiva di gran lunga la compagnia di un buon libro a quella di una conversazione superficiale. Non cercava il rumore del mondo, cercava l’eco della propria voce interiore.
La solitudine secondo Tomasi: scelta di vita o condanna?
Non pensare alla solitudine come a una triste prigione. Per Tomasi era una libertà assoluta, uno spazio mentale dove poter essere se stesso, senza dover sorridere per forza, senza dover chiacchierare per educazione. Era un’isola mentale, tutta sua, dove nessuno poteva entrare senza invito.
In una delle sue frasi più celebri, scrisse:
“Il mio piacere più grande è restare solo, senza dover spiegare la mia noia o giustificare il mio silenzio.”
Ecco: in queste parole c’è tutto lui. L’orgoglio di essere introverso, il fastidio per le maschere sociali, il gusto raffinato di chi sa stare bene solo con se stesso. Altro che “sfigato”: Tomasi elevava la solitudine a forma d’arte.
Il Gattopardo: un romanzo pieno di solitudine
Nel suo capolavoro, Il Gattopardo, la solitudine è un personaggio invisibile ma onnipresente. Il protagonista, il Principe Fabrizio di Salina, è un uomo che assiste con distacco e malinconia al tramonto della nobiltà siciliana. Vive tra palazzi decadenti, riti che sanno di muffa, e una società che cambia troppo in fretta per stargli dietro. Eppure, nel cuore di tutta questa trasformazione, il Principe resta un uomo solo, lucido osservatore di un mondo che non riconosce più.
Nei suoi silenzi c’è la consapevolezza della fine, e anche una certa eleganza nel lasciarla accadere. La sua solitudine non è rifiuto del mondo, ma una difesa dallo squallore della mediocrità. Come a dire: “Se proprio devo restare in mezzo alla decadenza, almeno fatemelo fare in pace”.
Una solitudine… da maturandi
Il fatto che la Maturità 2025 proponga un brano tratto da Il Gattopardo ci dice molto: non solo si vuole far riflettere gli studenti sulla storia che cambia, ma anche sull’animo di chi resta ai margini, in silenzio, osservando. E in un mondo dove tutti parlano, postano, commentano, forse un po’ di Tomasi di Lampedusa non ci farebbe male.
Perché, in fondo, la sua frase sulla noia e il silenzio è attualissima. In un’epoca in cui bisogna giustificare ogni assenza, ogni attimo offline, lui ci ricorda che il diritto di stare zitti e annoiati è sacrosanto. E pure nobile.
Un Gattopardo per tutti noi
Se pensi che Tomasi di Lampedusa sia solo un autore “vecchio stile”, da studiare perché te lo impongono, prova a leggerlo con occhi nuovi. Dentro la sua prosa raffinata si nasconde una forza silenziosa, una difesa poetica dell’intimità e della libertà personale.
E magari, prima di scorrere l’ennesimo reel noioso su Instagram, potresti farci un pensiero: “E se provassi anch’io il piacere di restare solo, senza spiegazioni?”
Chi lo sa, potresti scoprire che la solitudine – quella vera, quella scelta – è il lusso più grande che ci sia.
Frasi di Tomasi di Lampedusa sulla solitudine
- “Io sono un uomo che desidera la solitudine; ma non questa solitudine piena di sguardi indiscreti.”
- “In fondo, nessuno mi ha mai veramente conosciuto, e io non ho mai avuto voglia di farmi conoscere.”
- “Era solo. Ma non solo come chi è stato abbandonato, bensì come chi ha sempre saputo di esserlo.”
- “La solitudine era il suo stato naturale, la compagnia una parentesi disturbante.”
- “Il Principe sapeva che ogni uomo è solo, anche in mezzo a mille persone.”
- “La malinconia che portava dentro non cercava conforto, ma solo silenzio.”
- “Non era la morte a spaventarlo, ma la consapevolezza che nessuno avrebbe compreso la sua vita.”
- “Il mio piacere più grande è restare solo, senza dover spiegare la mia noia o giustificare il mio silenzio.”
- “Ho sempre pensato che chi non sa restare solo, non sa nemmeno vivere con gli altri.”
- “La solitudine mi accompagna con discrezione, come un’amica che non pretende nulla.”
- “Più conosco gli uomini, più capisco il valore del mio silenzio e del mio isolamento.”
- “Scrivere è un modo per parlare con me stesso, nel deserto delle parole inutili degli altri.”
- “Il rumore del mondo mi infastidisce. Preferisco la compagnia dei miei pensieri stanchi.”
- “Solitudine non è abbandono, è un privilegio raro di chi non ha bisogno di maschere.”
- “Mi sento spesso un relitto in un mare che non riconosco più, e preferisco restare sulla mia isola.”
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