Umberto Galimberti, filosofo, psicoanalista e voce inconfondibile dei talk show in cui entra sempre con la stessa calma di uno che sa già di avere ragione, ha una capacità rarissima: guarda i bambini e i genitori come se fossero creature mitologiche. Non nel senso poetico, ma nel senso che spesso fanno cose inspiegabili. Per lui il rapporto educativo è un’indagine: capire cosa provano i bambini, perché i genitori parlano poco (o parlano male), e perché oggi sembriamo tutti più soli nonostante viviamo immersi nei “social”. Galimberti lo dice chiaro: i bambini hanno bisogno di parole, non di tappabuchi emotivi. E noi adulti, un po’ imbarazzati, sappiamo benissimo che i suoi discorsi ci colpiscono perché hanno quel tono che non puoi ignorare: diretto, intelligente e pungente quanto basta.

Chi è Umberto Galimberti
Umberto Galimberti non è solo il professore che cita Freud con la stessa naturalezza con cui altri parlano del meteo. È un osservatore attento della società contemporanea, soprattutto dei suoi lati più fragili: gli affetti, l’educazione, la solitudine. Nei suoi libri e nelle sue interviste – da L’ospite inquietante a Il segreto della domanda – torna spesso sul tema dell’infanzia e della famiglia, come se lì si giocasse la partita finale della nostra felicità adulta.
Il suo stile è un misto di filosofia antica, psicologia del profondo e un realismo quasi disarmante. Ed è proprio questo mix a rendere i suoi consigli così scomodi… e così veri.
Chi sono davvero i bambini per Umberto Galimberti
Nella visione di Umberto Galimberti, i bambini non sono “adulti piccoli”, né contenitori da riempire con informazioni, regali o intrattenimento digitale. Sono persone con un mondo emotivo enorme, molto più grande di quanto gli adulti ricordino.
E proprio perché sono così sensibili, non puoi imbrogliarli con un giocattolo ogni volta che ti senti in colpa, o che non hai voglia di parlare, o che sei stanco, o che non sai che dire. E qui arriva una delle sue frasi più celebri e più fastidiosamente vere:
“Non si deve regalare ai bambini le cose in qualsiasi momento. I giocattoli di solito stanno al posto delle parole mancate.”
Tradotto: se tuo figlio ha una stanza piena di giochi ma un cuore un po’ vuoto, c’è un motivo. I bambini, dice Galimberti, non vogliono regali. Vogliono presenza. Dialogo. Sguardi. Quelle cose che costano zero ma che, ammettiamolo, sono molto più faticose da dare.
Chi sono i genitori per Umberto Galimberti
Uno dei passaggi più taglienti di Galimberti è quello sui genitori che parlano poco – o parlano male – con i figli:
“I padri tendono a non parlare ai bambini perché si annoiano. Le madri parlano ai bambini, ma parlano a un livello fisico: come stai? Sei sudata? Stai attento… mai che facciano una domanda psicologica del tipo ‘sei felice?’”
Lui non li giudica, li osserva. Ma l’osservazione è così precisa che fa male. I padri si annoiano perché spesso non sanno come entrare nel mondo dei bambini: un mondo emotivo, simbolico, immaginativo, dove non c’è un telecomando o un manuale d’uso. Le madri parlano tanto, ma quasi sempre da “controllori del corpo”: stai bene, copriti, non correre.
Pochissimi genitori fanno quella domanda essenziale:
“Come stai davvero?” Ed è lì che si crea la distanza. Una distanza che i bambini non sanno colmare da soli. Così si riempie con i giochi, con i tablet, con gli iPad.
La “solitudine di massa”: quando gli schermi diventano baby-sitter
Umberto Galimberti è tra i filosofi più critici sull’uso precoce della tecnologia. E la sua frase è diventata un’istantanea perfetta dell’infanzia contemporanea:
“Nei ristoranti si vedono adulti e bambini che stanno davanti al telefonino… una sorta di solitudine di massa, una negazione totale della relazione sociale.”
Per lui, i social non sono social. Sono buchi neri relazionali.
E quando li consegniamo ai bambini, consegniamo loro un surrogato di presenza. Un “intrattenimento” che non educa, non consola, non ascolta. Soprattutto, non parla. E se le parole mancano, i bambini iniziano a sentirsi soli. Non subito, non a quattro anni, ma più avanti. Quando scoprono che nessuno ha insegnato loro a dirsi dentro.
Perché la frase sui giocattoli è una bussola per capire la tristezza dei bambini
Se i giocattoli sostituiscono le parole mancate, allora la tristezza dei bambini nasce spesso proprio lì: nel silenzio emotivo. Il bambino è triste quando:
- non è ascoltato;
- non è guardato;
- non è interrogato sulle sue emozioni;
- non ha spazio per raccontarsi;
- non sente una presenza reale.
E spesso, quando i genitori non parlano, regalano. Quando non ascoltano, intrattengono. Quando non hanno tempo, “occupano” i figli. Galimberti ci dice, in modo quasi brutale, che un bambino pieno di cose può essere poverissimo di parole. E senza parole, non c’è felicità: c’è confusione, rabbia, malinconia.
Cosa possiamo fare noi genitori
Non serve spegnere tutti i dispositivi e trasferirsi in montagna a coltivare patate. Galimberti non lo chiede. Quello che chiede è più semplice, e più difficile:
- Parlare di emozioni
La domanda “sei felice?” vale più di un pupazzo nuovo.
- Ascoltare davvero
Non con le orecchie, ma con la presenza. Anche cinque minuti, ma interi.
- Dare meno cose e più tempo
Non è questione di povertà materiale, ma di ricchezza affettiva.
- Usare i regali per celebrare, non per compensare
Un regalo è bello quando ha un senso, non quando è un cerotto emotivo.
- Proteggere gli spazi senza schermi
Soprattutto a tavola, nei momenti di attesa, nei tempi vuoti. È lì che nasce la conversazione, quella vera.
Per rendere felici i bambini, dobbiamo tornare a parlarci
Umberto Galimberti ci provoca, ci scuote, a volte ci fa sentire in colpa. Ma lo fa perché crede in una cosa molto semplice: che la felicità dei bambini passa attraverso la presenza degli adulti che li amano. Non attraverso un tablet, non attraverso mille regali, non attraverso la gestione perfetta delle loro giornate. Ma attraverso parole vere, tempi condivisi e un interesse autentico per la loro vita interiore.
In fondo, è questo che Umberto Galimberti ci ricorda: un bambino che riceve parole diventa una persona che sa raccontarsi al mondo. E non c’è regalo migliore.
Frasi di Umberto Galimberti sui bambini
- “Non si deve regalare ai bambini le cose in qualsiasi momento. I giocattoli di solito stanno al posto delle parole mancate.”
- “I padri tendono a non parlare ai bambini perché si annoiano, le madri parlano ai bambini, ma parlano a un livello fisico: come stai? Sei sudata? Stai attento… mai che facciano una domanda psicologica del tipo ‘sei felice?’”
- “Adesso poi ci sono i telefonini, gli iPad che vengono letteralmente consegnati ai bambini. Nei ristoranti si vedono adulti e bambini che nell’attesa che arrivi il pranzo o la cena stanno davanti al telefonino, una sorta di solitudine di massa, una negazione totale della relazione sociale, perché non si devono chiamare Social quelle cose lì, si devono chiamare solitudini di massa.”
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