Umberto Galimberti non è un filosofo da salotto. Non ha paura di dire cose scomode, e infatti lo fa con la calma di chi ha già visto il mondo, lo ha capito e ne ha accettato anche le crepe. Mentre molti si affannano a cercare la “felicità a tutti i costi”, lui ricorda che la vita non è un luna park, ma un percorso in cui la gioia e il dolore convivono. E lo dice senza pietismi, anzi, con quella lucidità che solo chi ha studiato l’animo umano può permettersi.

Chi è Umberto Galimberti
Nato a Monza nel 1942, Umberto Galimberti è filosofo, psicoanalista, professore, ma soprattutto un uomo che guarda l’essere umano senza illusioni. Le sue parole sanno essere dolci come un consiglio e affilate come un bisturi. Ha scritto libri che scavano dentro le paure e le fragilità moderne – Il corpo, L’ospite inquietante, Le cose dell’amore – ma soprattutto ha dedicato una parte importante del suo pensiero al dolore. Per lui, il dolore non è un incidente di percorso: è una tappa inevitabile della crescita, un maestro silenzioso che insegna ciò che la felicità, da sola, non può spiegare.
Il dolore come strumento di conoscenza
Umberto Galimberti dice:
“Quando tu conosci anche il dolore, hai una strategia per muoverti quando stai male. Innanzitutto impari a nominare la tua sofferenza e poi hai anche delle vie d’uscita.”
E qui sta il punto. Il dolore, se lo si conosce, non distrugge. Se invece si fa finta che non esista, diventa un mostro invisibile che spaventa. Per Galimberti, la nostra epoca ha un problema: pretende di proteggere i bambini (e gli adulti, diciamolo) da tutto ciò che fa male. Ma così facendo li priva degli strumenti per affrontare la vita vera.
Al mondo c’è anche il male
“Non descrivete ai bambini un mondo felice, perché c’è anche il male.”
Questa frase, tanto discussa quanto necessaria, non è un invito al pessimismo. È un atto d’amore. Umberto Galimberti non vuole bambini tristi, vuole bambini veri: capaci di reggere il dolore, non di ignorarlo. Dire a un bambino che “va tutto bene” quando non è vero non è protezione, è una bugia travestita da tenerezza.
Educare alla realtà significa insegnare anche che la vita, a volte, graffia. E che si può sopravvivere a quei graffi. Quando un bambino sa che esiste anche il male, non cresce con la paura del buio, ma con una piccola torcia interiore per attraversarlo.
Il lutto spiegato ai bambini
Galimberti è chiarissimo su questo punto:
“Non difendete i bambini dal lutto, perché nella vita c’è anche la morte.”
E aggiunge:
“Oggi muore una persona importante nella vita di un bambino e lo mandano dalla zia. È sbagliatissimo, bisogna portarlo al funerale.”
Per lui, evitare il dolore non lo cancella, lo amplifica. Mandare via un bambino quando c’è un lutto significa dirgli: “la morte è troppo brutta per te”. Ma così si crea un adulto fragile, che alla prima sofferenza crolla. Invece, se il bambino partecipa, se vede che il dolore può essere condiviso, che si può piangere insieme, allora inizia a costruire dentro di sé una mappa del mondo reale: quella dove la vita e la morte si tengono per mano.
Il dolore come allenamento dell’anima
Umberto Galimberti sostiene che:
“Se la tua testa è vuota, il tuo dolore è devastante. Se invece hai uno schema di interpretazione, lo attutisci.”
Tradotto: il dolore senza senso è insopportabile, ma se lo riconosci e lo capisci, smette di essere un nemico. Ecco perché lui invita a parlarne, a nominarlo, a non nasconderlo sotto tappeti di sorrisi finti. Il dolore, dice, va educato. Come si insegna a un bambino a leggere o ad andare in bicicletta, così bisogna insegnargli che soffrire non è una vergogna, ma una parte della vita.
Perché il pensiero di Galimberti ci serve oggi
Viviamo in un tempo che promette felicità “istantanea” come un caffè solubile. Ma il dolore, anche se lo nascondi, resta lì. Umberto Galimberti ci ricorda che affrontarlo non ci rende infelici, ci rende umani. E forse dovremmo smettere di temerlo come una sconfitta: è solo un’altra faccia dell’amore, della perdita, della memoria. Portare i bambini ai funerali, parlar loro della morte, non significa rubare loro l’infanzia: significa regalargli gli strumenti per vivere, davvero.
Frasi di Umberto Galimberti sul dolore
- “Non difendete i bambini dal lutto, perché nella vita c’è anche la morte.”
- “Oggi muore una persona importante nella vita di un bambino e lo mandano dalla zia. È sbagliatissimo, bisogna portarlo al funerale. Capirà della morte quel che si può capire alla sua età, ma intanto si fa uno schema dentro di sé, altrimenti si crea un futuro uomo o una futura donna che ogni volta che si trova in una dimensione negativa non sa come comportarsi.”
- “Bisogna educare i bambini anche al dolore, alla morte, al lutto.”
- “Quando tu conosci anche il dolore, hai una strategia per muoverti quando stai male. Innanzitutto impari a nominare la tua sofferenza e poi hai anche delle vie d’uscita, ma se la tua testa è vuota e non ha questi modelli in testa, tu provi solamente angoscia.”
- “Se la tua testa è vuota, il tuo dolore è devastante, se invece hai uno schema di interpretazione, lo attutisci.”
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