C’è chi dice che guardare al passato sia come sorseggiare una canna di vetro innocua: trasparente e senza conseguenze. Per altri, è come un’amara medicina: talvolta necessaria, talvolta tossica. Paolo Crepet, psichiatra e sociologo italiano, ci invita a riflettere su questo sguardo nostalgico verso gli anni ’80 e ’90: un’epoca che oggi torna in voga come un evergreen, ma non per una voglia sincera di ri-vivere quei momenti. Piuttosto come un tentativo di “eliminare il dolore dalla vita per recuperare un’esistenza piacevole”. Nel suo ragionamento, la nostalgia non è di per sé “malata”: può aiutarci a capire chi siamo stati. Il rischio – secondo lui – è rimanerne prigionieri. Scaviamo insieme nel suo pensiero, cercando di capire come (e se) questa malinconia possa, con un po’ di intelligenza, insegnarci qualcosa.

Chi è Paolo Crepet
Paolo Crepet è una figura che va oltre la definizione semplice di “intellettuale”: psichiatra, sociologo, educatore, saggista e – per alcuni – pure provocatore. Attraverso libri, interviste, conferenze e spettacoli – come quello dal titolo “Il reato di pensare” – non pretende di essere un comico, ma usa un linguaggio diretto, a volte brusco, per scuoterci.
Il suo è un lavoro costante: denunciare la “società anestetizzata”, la perdita dell’empatia, l’uso superficiale della tecnologia, l’abitudine a vivere passivamente piuttosto che costruire consapevolmente. Nel farlo, spesso abbraccia posizioni impopolari, ma non finge: cerca la verità, anche se fa male. Il suo approccio – critico, talvolta tagliente – ha sempre un intento: far riflettere, scuotere, provocare consapevolezza.
Un nostalgico consapevole, non un nostalgico nostalgico
Quando parla di nostalgia e di ritorni dell’“evergreen” – serie, canzoni, mode, programmi televisivi di “una volta” – Crepet non si limita a chiederne il consumo acritico. Non dice “tornate a quegli anni e sarà tutto meglio”. Al contrario: chiama in causa la memoria, la riflessione, la selezione. Il passato non può e non deve essere un rifugio permanente.
Crepet avverte: c’è differenza tra rivivere e ricordare. Tra interpretare e copiare. Tra usare il passato come “rifugio consolatorio” e farne una bussola per orientarsi, dentro se stessi e nel mondo.
“L’idea dell’evergreen nasce dal bisogno di eliminare il dolore…”: cosa significa davvero
In un’intervista rilasciata recentemente, Crepet afferma:
“L’idea dell’evergreen nasce dal bisogno di eliminare il dolore dalla vita per recuperare un’esistenza piacevole.”
Che tradotto significa: quando la realtà – sociale, culturale, personale – diventa dura, incerta, caotica, molti preferiscono rifugiarsi in ricordi rassicuranti: la canzone di un tempo, la sigla di un cartone, il telefilm di quando eravamo giovani. È come se l’“evergreen” – con la sua familiarità – fosse una scorciatoia verso il comfort emotivo: una fotografia di tranquillità in un presente scomodo.
E infatti, secondo Crepet, questo tipo di nostalgia è spesso una forma di illusione, una tentazione di tornare indietro per evitare la complessità del presente. A cinquanta anni, si finisce per “recitare la parte dei ventenni”, negando tutti i dolori, i limiti, le frustrazioni che fanno parte dell’età adulta.
Ma c’è un’altra verità: la nostalgia non è sempre una trappola. Può diventare una risorsa. I ricordi, se usati con intelligenza, possono insegnarci qualcosa.
Come la nostalgia – nel modo giusto – può aiutarci
Secondo Crepet, il passato non va idealizzato né demonizzato. Non va vissuto come una seconda casa, né come un inferno legislato dalla malinconia. Il passato è una cassetta degli attrezzi: da lì possiamo prendere quegli strumenti che ancora valgono, lasciando indietro ciò che non serve più.
Prendiamo un esempio concreto: la scuola di 50 anni fa. Crepet ha raccontato che, nonostante tutto, certi aspetti – la lentezza, il gioco, la conversazione, l’attenzione – erano più favorevoli allo sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini rispetto alla scuola moderna iper-tecnologica e disattenta. Non per nostalgici, ma per chi cerca un’educazione più vera.
Oppure pensiamo all’arte, ai grandi classici: leggere un romanzo passato, guardare un film o un filmato d’altri tempi non significa volerci tornare, ma confrontarci con l’umanità che resiste nel tempo. Come dice Crepet, non si tratta di nostalgia fine a sé stessa, ma di “ripescare dal passato ciò che serve”.
In questo senso la frase “L’idea dell’evergreen nasce dal bisogno di eliminare il dolore dalla vita per recuperare un’esistenza piacevole” non è una condanna totale: è un allarme. Ci avverte che se facciamo di quella ricerca di conforto il nostro stile di vita, rischiamo di perdere noi stessi. Al contrario, se accettiamo la nostalgia come memoria selettiva e critica – come un modo per restare umani – allora può essere una guida.
Un invito provocatorio: non restare incollato allo schermo dei ricordi
Crepet non usa mezzi termini. Dice che spesso l’eccesso di nostalgia è una fuga codarda davanti alla complessità. Viviamo immersi nelle novità tecnologiche che promettono di “semplificare” tutto: comunicazione, lavoro, relazioni. Ma – secondo lui – questo ha un prezzo: perdiamo profondità, attenzione, empatia.
E allora il suo invito è chiaro: smettiamo di “collezionare evergreen” come figurine da album, e iniziamo a collezionare pensieri, relazioni, esperienze autentiche. Non come replica di un passato “perfetto”, ma come costruzione quotidiana. Perché la vita non è un grande reboot nostalgico: è un continuo atto creativo.
La nostalgia non è un peccato, ma nemmeno una comodità
Paolo Crepet ci dice che la nostalgia non è un peccato, ma nemmeno una comodità neutra. È uno strumento ambivalente: può consolarti, ma anche imprigionarti. Può aiutarti, ma anche anestetizzarti. Sta a te decidere come usarla.
Alla fine, come suggerisce lui, il passato non è un posto dove andare a vivere. È una biblioteca da cui prendere, con giudizio, ciò che merita di sopravvivere nel nostro presente. E magari farci da bussola per il futuro.
Frasi di Crepet sulla nostalgia
- “Fottiti della nostalgia, non cadere nel ricatto, non guardare indietro ragazzo: hai un progetto di riscatto!”
- “Il riscatto fa parte del progetto. E quella cocciutaggine, quella voglia disperata di inventare qualche cosa ti fa essere disperatamente qualcuno.”
- “Sono più gli errori che dicono di te, del tuo coraggio, dicono della tua abnegazione, della tua cocciutaggine, non sono mica brutte parole queste. ”
- “Ognuno di noi è ciò che ha lasciato ogni giorno.”
- La nostalgia è un sentimento da salutare, non da abitare.”
- “Non puoi vivere voltandoti sempre indietro: la vita non ti aspetta.”
- “I ricordi non sono souvenir da collezionare, ma pezzi di cuore che restano appesi a chi siamo stati, e a chi vogliamo essere.”
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