Andrea Camilleri non è stato solo uno scrittore amatissimo, il “papà” del commissario Montalbano e il nonno d’Italia che tutti avremmo voluto a tavola la domenica. È stato un uomo che ha saputo raccontare la vita senza veli, con una sincerità ironica e spesso spietata. Tra i molti temi toccati nelle sue interviste e nelle sue opere, uno ricorre con sorprendente delicatezza: la felicità. Non quella da copertina, non quella che si ostenta sui social; Camilleri parlava di una felicità minima, improvvisa, quasi ridicola. E proprio per questo profondamente vera.

Chi era Andrea Camilleri
Chi lo ha ascoltato almeno una volta lo sa: Camilleri aveva uno stile unico, quel miscuglio irresistibile di ironia siciliana, saggezza contadina e cultura infinita. Non amava la retorica, non amava i concetti complicati, non amava chi si prendeva troppo sul serio, neppure quando si parlava di emozioni “alte”.
Per lui la felicità non è un trofeo da conquistare con l’impegno, ma un regalo inatteso: “Io sono stato felice, ma per pochi attimi e per cose inspiegabili”, diceva.
E già qui ci lanciava una piccola bomba filosofica: la vita non ci deve niente. Ogni istante felice è un bonus, non un diritto.
La felicità secondo Camilleri: piccola, improvvisa, “ridicola”
Andrea Camilleri non si è mai fidato della felicità costruita a tavolino. Diffidava delle ricette motivazionali e dei “Vola dove ti porta il cuore” appesi nei salotti. La sua idea di felicità era quasi antiletteraria: concreta, sensoriale, banalissima. Aprire la finestra al mattino. Sentire l’odore del caffè. Vedere qualcuno che ami svegliarsi piano. Cominciare a scrivere. Piccoli bagliori. Folgorazioni, le chiamava. Ed ecco il cuore del suo pensiero, in una delle sue frasi più celebri:
“Penso che la felicità sia una folgorazione, cioè ti arriva mentre meno te l’aspetti e forse mentre meno te la meriti. È fatta di un nulla. È come quelle farfalle che ti si appoggiano sulle dita e poi le lasci andare. Rivolano e sulle dita vi è rimasta un po’ di polvere color d’oro.”
Quando pronunciava queste parole, Camilleri ci stava consegnando una piccola filosofia della vita: la felicità non la catturi, non la trattieni, non la fissi in un selfie.
La riconosci solo dopo, quando se n’è già andata, e ti accorgi che, nelle dita, è rimasta una traccia minuscola ma preziosa.
Perché quella “folgorazione” ci riguarda e ci salva
Quella farfalla dorata è una metafora semplice, quasi infantile, ma ci ribalta la prospettiva. Camilleri ci invita a capire un fatto scomodo: la felicità è democratica, ma non equa. Non arriva sempre, non arriva a tutti allo stesso momento, non arriva quando la vogliamo.
E allora, cosa ce ne facciamo di questa verità? Beh, ecco il punto:
se la felicità è imprevedibile e casuale, non ha senso invidiare quella degli altri. Perché ciò che oggi sfiora me, domani sfiorerà qualcun altro. Perché quella delle persone intorno a noi non ci ruba niente; sono solo farfalle che passano di mano in mano. Perché non possiamo sapere cosa c’è prima o dopo quella foto felice che vediamo, in real life o sui social.
In altre parole: Camilleri ci libera dalla gara continua a chi è più felice.
Ci invita a vivere più leggeri, a non consumarci a confrontare la nostra vita con quella degli altri, a non rincorrere un’emozione che, per definizione, non si fa inseguire.
Vivere più leggeri
Il messaggio finale di Camilleri è quasi una carezza: la felicità è fatta di un nulla, ed è proprio lì il suo valore. Non serve accumulare, programmare, controllare tutto. Serve solo stare svegli, pronti ad accorgersene quando arriva. Magari mentre apriamo una finestra. O mentre la vita, per un istante, smette di correre e si lascia guardare. E allora sì: accogliamola quando passa, senza stringere troppo, senza pretendere che resti. E, come diceva lui, accontentiamoci della polvere d’oro che ci lascia addosso. A volte, è più che sufficiente.
Frasi di Andrea Camilleri sulla felicità
- “Non ho mai avuto aspirazioni alla felicità, ho avuto aspirazioni alla marmellata, cioè volevo la marmellata e me la prendevo e me la godevo.”
- “Penso che la felicità sia una folgorazione, cioè ti arriva mentre meno te l’aspetti e forse mentre meno te la meriti. È fatta di un nulla. È come quelle farfalle che ti si appoggiano sulle dita e poi le lasci andare. Rivolano e sulle dita vi è rimasta un po’ di polvere color d’oro.”
- “Attenzione perché la felicità, a volte, vi è passata accanto e non ve ne siete accorti.”
- “Io sono stato felice, ma per pochi attimi e per cose inspiegabili.”
- “La felicità per me non ha motivazioni, non ne ha mai avute, per me è fatta di cose ridicole.”
- “La felicità per me era aprire la finestra al mattino, sentire l’aria fresca, guardare fuori. Alzarsi presto, aspettare che tutta la casa prendesse vita, sapere che dopo un po’ si sarebbero alzate le persone a me più care… e che poi avrei iniziato a scrivere. Questa era la felicità.”
- “Quando ora tento, con sforzo, di girare la manovella del mio corpo e quando lui risponde a dovere, provo di nuovo un sentimento leggero di felicità.”
- “Io la felicità l’ho trovata sempre nelle cose terrene, concrete, negli odori, nei sapori, nei rapporti umani, non nella letteratura.”
- “La felicità non è di questo mondo, è di un altro mondo da cui sono escluso perché non credo. È qualcosa che trascende noi stessi.”
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