Concita De Gregorio non è solo una giornalista, scrittrice e voce autorevole del dibattito pubblico italiano. È anche una donna che ha fatto della chiarezza e della sincerità uno stile di vita. Tra i tanti temi che affronta, ce n’è uno che ci riguarda tutti molto da vicino: il lamento. Già, quel borbottio costante che inquina le giornate, rovina i rapporti e – se parliamo di figli – ci fa rischiare la sordità selettiva. Eppure, ascoltando Concita De Gregorio, scopriamo che il lamento non è solo inutile, è pure dannoso. Non serve a migliorare le cose, non porta soluzioni, ma ha un effetto collaterale sicuro: fa stare peggio chi ti è vicino.
Perché lamentarsi non serve
Concita De Gregorio è chiara:
“Lamentarsi non serve a niente, serve solo a far stare peggio le persone attorno a te.”
Tradotto: ogni volta che ci incartiamo a dire “non è giusto, non va bene, è colpa di…” stiamo solo buttando giù noi stessi e chi ci ascolta. È come spruzzare spray al peperoncino in una stanza già piccola: nessuno respira più.
Concita De Gregorio non predica il silenzio rassegnato. Anzi. Dice:
“Se vuoi ottenere giustizia, devi ottenerla fino all’ultimo minuto, pretenderla, senza lamentarti.”
Cioè: muoviti, agisci, protesta pure, ma non fermarti a mugugnare.
Giustizia sì, lagna no
E qui c’è la differenza fondamentale. Puoi chiedere quello che ti spetta, combattere per i tuoi diritti, alzare la voce quando serve. Ma farlo senza scivolare nel lamento sterile, quello che ti consuma energie senza portare risultati.
Come dice lei:
“Puoi pretendere giustizia senza lamentarti, ma mantenendo la tenerezza e senza perdere la relazione.”
Non è questione di diventare macchine di ghiaccio, ma di non trasformarsi in martiri urlanti che fanno scappare tutti.
La vita accade, ma la reazione è tua
Concita De Gregorio ha un modo diretto per ricordarci che non controlliamo tutto:
“Quello che ti succede nella vita, compresa una catastrofe, non dipende da te, ma dipende da te come reagire a quel che ti succede.”
Non decidiamo se piove, se ci licenziano o se ci lascia il fidanzato. Però possiamo decidere se buttarla sul “perché a meee?” oppure rimboccarci le maniche. Lei stessa dice:
“Io non posso decidere se la persona che amo resta o non resta con me, però posso decidere di non soccombere, di non morirne, senza lamentarmi.”
Una lezione anche per i figli (e per i genitori stanchi)
E qui arriviamo al punto più pratico: il lamento come sport preferito dei bambini. “Non voglio andare a scuola!”, “Perché io devo sparecchiare e mia sorella no?”, “È ingiusto, la pasta è troppo corta!”.
Quante volte ci troviamo immersi in questo coro? E quante volte vorremmo rispondere con la frase secca di Concita: “Lamentarsi non serve a niente, serve solo a far stare peggio le persone attorno a te.”
Ecco, usiamola. Non per zittire i figli, ma per educarli a un concetto fondamentale: lamentarsi non ti aiuta a ottenere ciò che vuoi, anzi ti allontana. Vuoi che ti ascolti davvero? Allora proponi una soluzione, chiedi con chiarezza, mostra cosa ti serve. Il lamento è rumore di fondo, l’azione è musica.
Meno lamentele, più vita
Concita De Gregorio ci offre una bussola preziosa. Non si tratta di fingere che tutto vada bene, né di ingoiare i torti. Si tratta di scegliere come reagire: non con la lagna che appesantisce, ma con la forza gentile di chi pretende giustizia, cerca soluzioni e sa che il mondo non si cambia a suon di brontolii. Un consiglio che vale per noi, ma che – detto ai nostri figli – potrebbe liberarci almeno da metà delle discussioni a tavola. Che non è poco.
Frasi di Concita De Gregorio sul lamento
- “Lamentarsi non serve a niente, serve solo a far stare peggio le persone attorno a te.”
- “Se vuoi ottenere giustizia, devi ottenere giustizia fino all’ultimo minuto, pretenderlo, senza lamentarti.”
- “Puoi pretendere giustizia senza lamentarti, ma mantenendo la tenerezza e senza perdere la relazione.”
- “Quello che ti succede nella vita, compresa una catastrofe, non dipende da te, ma dipende da te come reagire a quel che ti succede.”
- “Io non posso decidere se la persona che amo resta o non resta con me, però posso decidere di non soccombere, di non morirne, senza lamentarmi.”
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