Giacomo Leopardi è morto il 14 giugno 1837. Ma tranquilli: lui non se l’è presa più di tanto. D’altronde, aveva sempre pensato che la vita fosse una fregatura ben confezionata e che la felicità, alla fine, fosse un’invenzione buona per i romanzi, le illusioni giovanili e i cioccolatini. In un’epoca in cui si parlava ancora poco di “benessere mentale”, lui ci era già arrivato: la felicità non esiste, se non nella testa di chi sogna. Eppure, proprio questo sguardo spietato sul mondo lo ha reso uno dei pensatori e poeti più profondi della nostra letteratura. Un pessimista? Sì, ma con stile. E anche con un’ironia tragica che oggi ci fa sorridere; amaramente, ma ci fa sorridere.
L’uomo dietro il poeta: tra gobba, biblioteca e malinconia
Leopardi non era un personaggio da copertina. Nacque a Recanati, in una casa più piena di libri che di abbracci. Soffriva di problemi fisici seri – la famosa gobba, ma anche dolori cronici – e questo lo tenne per anni chiuso in casa a leggere tutto quello che trovava. Letteralmente tutto.
Era uno studioso instancabile, uno che si faceva le “maratone” di lettura prima ancora che esistessero Netflix e il binge-watching. Ma più leggeva, più capiva che il mondo era un posto difficile da amare. E più capiva, più si disilludeva.
La felicità secondo Leopardi: una fiaba per adulti troppo ottimisti
Per Leopardi, la felicità non era un diritto, ma un miraggio. Ne parla ovunque: nello Zibaldone, in tante Operette morali, e ovviamente nei suoi celebri Canti. Ma attenzione: non la esalta mai. Al contrario, la smonta pezzo per pezzo.
Nel Dialogo di Plotino e Porfirio, ad esempio, si discute se valga la pena vivere. Spoiler: dipende, ma spesso no. E nella Storia del genere umano, Leopardi si diverte a immaginare gli dèi che decidono di punire gli uomini non con dolori atroci, ma… col desiderio di felicità. Cioè: la fregatura più raffinata.
Per lui, la felicità era una specie di bugia gentile, un’illusione necessaria a sopravvivere. Una cosa che immaginiamo, come l’Infinito: sappiamo che non esiste, ma lo pensiamo lo stesso. Lo desideriamo, lo rincorriamo, e alla fine ci sbattiamo contro la realtà. Un po’ come i bambini che credono a Babbo Natale e poi trovano lo scontrino del regalo nel cassetto.
“L’infinito” e la felicità: stessa roba, stesso bidone
Nel suo componimento più famoso, L’infinito, Leopardi descrive un momento di estasi mentale, di fuga nel pensiero. E in quel pensiero c’è un lampo di felicità, sì, ma non reale: immaginata.
Scrive: “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Ma è un naufragio in un mare che non esiste. È un’immersione nel nulla, in qualcosa che consola solo perché non ha confini. Come dire: la felicità è bella finché non cerchi di viverla davvero. Appena ci provi, puff, svanisce.
Ecco perché diceva che la felicità è una “invenzione dell’immaginazione”. Perché nella realtà, quella vera, siamo più simili ai suoi pastori erranti che sognano la luna, che agli influencer con sorriso fisso e vita perfetta (che probabilmente anche loro, sotto sotto, leggono Leopardi di nascosto).
Eppure… c’era un’ironia viva, sotto tutta quella malinconia
Attenzione, però. Leopardi non era solo tristezza a palate. Dietro la sua visione cupa del mondo c’era un’intelligenza ironica, una lucidità brillante. Era il tipo di persona che, di fronte a una festa, si sarebbe seduto in un angolo a dire: “Ma secondo voi la gioia esiste davvero o è solo un modo per sopportare la noia?”, e tutti lo avrebbero ascoltato, un po’ spaventati, un po’ conquistati.
Nel suo modo di vedere la vita, non c’era rassegnazione passiva, ma una consapevolezza profonda. Se non possiamo essere felici, almeno possiamo essere lucidi, liberi di pensare. E magari riderci su, anche amaramente. Come faceva lui.
Un poeta per chi non si accontenta delle favole
Nel giorno della sua morte, il 14 giugno, ricordare Giacomo Leopardi significa fare i conti con uno dei più grandi smascheratori di illusioni della nostra storia.
Non amava la felicità, perché la conosceva troppo bene per crederci davvero. Eppure, proprio lui, col suo sguardo malinconico e ironico, ci ha lasciato parole che continuano a farci compagnia, come quei vecchi amici un po’ cinici ma sempre sinceri.
In un mondo che ci urla “Sii felice!” a ogni angolo, Leopardi ci sussurra: “Sì, va bene, ma non esagerare con le aspettative.” E forse, anche questo, è un modo per essere felici. Ma senza farsi fregare.
Frasi di Giacomo Leopardi sulla felicità
- “La felicità è cosa assai più rara in questo mondo che la virtù.”
- “Il piacere è sempre o passato o futuro, non è mai presente.”
- “La felicità sta nell’immaginazione, non nella realtà.”
- “L’uomo è infelice perché desidera di essere felice.”
- “La natura non ci ha dato che illusioni: chi le perde è infelice.”
- “L’infelicità nasce dal confronto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.”
- “Non si trova felicità se non nell’ignoranza del vero.”
- “La gioventù è il solo tempo in cui si possa essere felici.”
- “La speranza è la più certa delle felicità umane.”
- “La felicità è impossibile: l’unico scopo della vita è il piacere, ma il piacere vero non si dà mai.”
- “La felicità non è altro che il contenuto dell’anima quando è libera dalla noia e dal dolore.”
- “L’uomo corre sempre dietro alla felicità che non raggiunge mai.”
- “La natura vuole che l’uomo sia infelice, e però l’ha fatto desideroso della felicità.”
- “La felicità è un’invenzione dell’immaginazione, come l’infinito.”
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