Umberto Eco era uno di quegli uomini che riusciva a parlare di tutto – dal Medioevo alla televisione, dal linguaggio alla risata – senza mai risultare noioso. Professore, romanziere, semiologo, filosofo, ma anche uomo ironico e profondamente umano. Tra le tante cose che ha detto (e scritto) nella sua vita, c’è un pensiero che colpisce per la sua semplicità e verità:
“Con l’invecchiare si recuperano memorie antiche, si ricordano delle cose della propria infanzia che prima non si ricordavano.”
Ecco, Eco – che di nome già evocava qualcosa che riecheggia – ci ricorda che la memoria non è solo un archivio mentale, ma la sostanza stessa della nostra identità.
L’uomo che fece della memoria una biblioteca
Per Umberto Eco, la memoria era molto più di un insieme di ricordi: era una biblioteca vivente. Non a caso, collezionava libri come altri collezionano francobolli (oltre 30.000 volumi a casa sua, tanto per capirci). Ma i suoi veri scaffali erano dentro la testa: pensieri, letture, aneddoti, battute, ricordi di infanzia e citazioni che gli tornavano alla mente come vecchi amici. Diceva spesso:
“Noi siamo la nostra memoria.”
Non esiste identità senza memoria, secondo Eco. Ogni esperienza, ogni lettura, ogni dolore e ogni risata diventano parte del grande romanzo personale che ci definisce. Invecchiare, quindi, non significa perdere pezzi, ma recuperarne altri. Magari dimentichiamo dove abbiamo parcheggiato l’auto, ma ci torna in mente il profumo della colla a scuola o la voce di un maestro che non pensavamo più di ricordare.
L’età della memoria antica
Quando Umberto Eco diceva che con l’età si recuperano memorie lontane, non parlava solo da osservatore: parlava da uomo che stava esplorando se stesso. La mente, col passare degli anni, smette di concentrarsi sul “qui e ora” e inizia a rovistare negli scaffali del passato. È come se il cervello, stanco delle scadenze e delle password, si prendesse una pausa e dicesse: “Vediamo cosa c’è nei vecchi cassetti”.
Da qui la magia: riaffiorano dettagli dell’infanzia che per decenni erano rimasti in silenzio. Il suono di una campana, un odore, un colore, un momento. È il modo che la mente ha per restituirci profondità, per ricordarci chi siamo stati. Eco lo spiegava così, con quella sua eleganza disarmante:
“Nella vecchiaia si accresce il patrimonio della nostra memoria.”
Insomma, mentre il corpo perde elasticità, la mente si arricchisce di risonanze, di memorie sedimentate, di anima.
Più si invecchia, più si ha anima
Una delle sue frasi più belle – e anche più poetiche – è questa:
“Più si invecchia, più si ha anima. Infatti si ha più anima di un bambino di sei mesi.”
Umberto Eco non voleva certo sminuire la purezza dell’infanzia, ma ricordarci che l’anima non nasce già completa: si costruisce, si riempie di esperienze, dolori, amori e, soprattutto, di memoria. Ogni anno che passa, diventiamo un po’ più “anima” perché accumuliamo vita, e la vita – nel suo pensiero – è memoria vissuta.
Un consiglio da prendere (e non dimenticare)
Umberto Eco ci lancia un messaggio prezioso: non temere la memoria, anche quando fa male. Coltivala, curala, lasciale spazio. Perché ricordare non è solo rivivere il passato, ma riconoscere chi siamo oggi.
E quando, con l’età, ti capiterà di dimenticare un nome ma di ricordare con chiarezza il sapore delle ciliegie del giardino della nonna, non spaventarti. Sta solo succedendo quello che Eco aveva previsto: la memoria si fa più profonda, più poetica, più vera. In fondo, come avrebbe detto lui con un sorriso sornione, l’unica cosa che davvero non dobbiamo dimenticare è di ricordare di ricordare.
Frasi di Umberto Eco sulla memoria
- “Noi siamo la nostra memoria. Con l’invecchiare si recuperano memorie antiche, si ricordano delle cose della propria infanzia che prima non si ricordavano.”
- “Nella vecchiaia si accresce il patrimonio della nostra memoria.”
- “Più si invecchia, più si ha anima. Infatti si ha più anima di un bambino di sei mesi.”
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